di Raffaele Castagna
Arime. Un riferimento all'isola con tale nome fu individuato già nell'espressione omerica che indica in Arime o fra gli Arimi il luogo in cui Giove imprigionò Tifeo, facendogli precipitare addosso le montagne da lui sovrapposte per raggiungere la sede celeste e portar guerra agli dei. Virgilio poi nell'Eneide introdusse la voce Inarime, ottenuta forse con la fusione delle due parole omeriche (la preposizione 'in' e il sostantivo 'Arime'. In Omero e in Virgilio troviamo delle situazioni quasi similari in cui, volendo rendere l'immagine di come rimbombi la terra al calpestio delle schiere in marcia, si dice che la medesima cosa avviene quando si agita Tifeo, sconvolgendo il suolo e le acque, in Arime o Inarime, isola che col suo peso opprime e tormenta il gigante, vinto ma ancor minaccioso.
Pitecusa. Questa denominazione viene fatta derivare ora dalla presenza delle scimmie - a simiarum multitudine -, ora dalle fabbriche di anfore - a figlinis doliorum. Ovidio nelle Metamoforsi dice che Pitecusa fu così chiamata dai suoi abitatori, e cioè dai Cercopi, ingannatori e spergiuri, da Giove mutati in belve oscene, in modo che ad un tempo fossero somiglianti e dissimili agli uomini. Plinio invece fa derivare il nome dalle botteghe di orci di terracotta, che erano fiorenti sul territorio, come hanno dimostrato gli scavi archeologici. Il toponimo si trova citato anche nella forma plurale Pithekoussai, forse legato alla presenza di altri villaggi satelliti e insediamenti impiantati lungo le coste, oppure facendo riferimento alla vicina isola di Procida.
Aenaria. Denominazione dell'isola che si attesta in epoca romana (durante il periodo sillano - 88 a. c.) sempre più nei testi storici, mentre i precedenti Inarime e Pitecusa restano per lo più nel linguaggio poetico oppure come maggiore precisazione del nuovo toponimo. Plinio lega il nome ad Enea, il profugo troiano, l'eroe intorno al quale si focalizza tutta la vicenda del poema virgiliano, l'Eneide, e che con la flotta dovette trovare riparo nelle acque dell'isola: Aenaria a statione navium Aeneae. Anche Festo dice che Aenaria venne chiamato il luogo dove Enea si fermò con la sua flotta. Peraltro la dizione Enaria - senza dittongo - viene a volte riportata nel filone della favola delle scimmie, proponendone la derivazione da enaribus, hoc est sine naribus (senza narici), videlicet simiis. Altre ipotesi riportano il nome alla voce latina aenum/ahenum, pl. aena/ahena (rame, bronzo, piombo), collegabili quindi alla lavorazione dei metalli, che ha trovato valida conferma nelle ricerche archeologiche, specialmente nelle acque antistanti il Castello d'Ischia, dove ebbe sede la nuova cittadella, poi scomparsa a causa di fenomeni tettonici. Lo storico Francesco De Siano fa anche cenno al possibile riferimento alla voce Oinaria legata al principale prodotto e sostegno economico dell'isola, il vino. v. anche Inarime e Pitecusa
Insula.
Denominazione dell'isola di Ischia maturata nel periodo bizantino
e sopravvissuta fino al X secolo, anche se già nell'VIII secolo,
quando Ischia entrò nel sistema napoletano dei castra,
si ha la distinzione in Insula maior e Castrum Gironis (o Insula
minor). Il nome Insulaè possibile recuperarlo
nell'epistolario di Gregorio Magno (ep. 46 del 598), in cui si parla
di diritti vantati sulle due Isole, de insulis (Pietro
Monti).
Insula maior. Denominazione con la
quale si indicava il territorio più vasto dell'isola che
andava sempre più popolandosi, in contrapposizione all'Insula
minor che si riferiva al Castello Aragonese, dove per secoli
si era concentrata la popolazione. Insula minor. Denominazione
che indicava l'antico agglomerato urbano formatosi sull'isolotto
del Castello Aragonese, in contrapposizione all'Insula maior.