Anno XXI n. 1-2/1999


(1) La poesia sarda della solitudine
Due voci contemporanee (2) Gigi Dessì - (3) Salvatore Pintore

di Oliver Friggieri
dell'Università di Malta

Salvatore Pintore: poesia di spazi e di silenzi

La stessa semplicità con cui Salvatore Pintore costruisce la sua lirica in Erano i giorni è già una metafora tipica della vita isolana. Si tratta di un silenzio interiore, saturo di significati che si riveleranno man mano che il poeta avanza nel suo cammino verso se stesso, un abitante ambiguo di una terra nota e ugualmente sconosciuta, un viaggiatore pieno di ansie e di interrogazioni. Il sardo diventa subito cittadino del mondo, un interprete dell’esistenza tramite la conoscenza della propria esperienza di isolano.
Uno spoglio lessicale della poesia di Pintore mette subito in evidenza la sua predilezione per un lessico essenziale, fondamentale, da cui nasce tutta la sua lingua: mistero, silenzio, sguardo, mare, sogno, passo, segreto, stelle. Prendendo le mosse da una ricca tradizione lirico?filosofica italiana, che si riconosce in Petrarca, Leopardi, Pascoli, Ungaretti, Quasimodo, Montale, cioè in una schiera di fratelli che hanno purificato la lingua letteraria più ricca d’Europa da tutti i residui della retorica, Pintore riduce il suo linguaggio al minimo, ricorre a poche parole di facile significato, adopera forme e strutture sintattiche elementari, scrive con una limpidezza che mai si perde nelle assurde complessità di tanta poesia cerebrale del dopoguerra.
La sua espressione sembra aderire alla teoria leopardiana del “peregrino”, ma si tratta di un rinnovamento del lessico più tipico e comune. La scelta linguistica emana da una esigenza interiore: Pintore sta cercando di toccare il limite, di scoprire la profondità del semplice e dell’immediato. E ciò si fa attraverso una revisione delle sensazioni più elementari così da scoprire in queste sensazioni le forme del mistero:

Due occhi sulla riva
sono pronti a salpare
sul messaggio che ha increspato
l’immensa distesa del cuore.

Due occhi dagli abissi
innalzano vele
gonfiano al vento le idee
fendendo le onde del tempo.

Due occhi nell’azzurro
cercano una stella
la sua luce avvolge desiderio
in un silenzioso remare.

Si tratta di un momento caratteristico di tutto l’itinerario. Pintore adopera la tecnica del bozzettismo, elenca una serie di sensazioni, descrive le cose alla luce della loro metafisica. In realtà, il suo quadro è fisico?spirituale, è il risultato di una riduzione al minimo di tutti gli elementi che lo sguardo, il senso più insistentemente attivo in tutta la sua opera, penetra e eventualmente trasforma in esperienza interiore. Il viaggio di Pintore parte dalle strade affollate dell’isola per poi arrivare alle parti più remote dell’unica isola vera e propria, la sua anima, quella che ai giorni d’oggi il poeta può chiamare in causa anche per essere originale. È un richiamo all’autenticità, all’infanzia perduta, appunto alla poesia anch’essa tradita nel nostro secolo da un tipo di produzione che ha perso di vista i propri punti di riferimento, le sue origini.
La poesia creata in distanza dai grandi centri sembra avere il merito di aver continuato ad essere fedele a se stessa, di aver continuato ad insistere sulla verità fondamentale di ogni estetica: la poesia non esiste nelle cose ma nella sensibilità. Ma anche il senso della distanza, che noi isolani sentiamo come condizione inalienabile ma anche forse come vocazione e scelta, ha il suo sapore metaforico. È una fuga del tutto consapevole, concepita come scoperta, vissuta come tappa fondamentale di tutto il viaggio. Quello che nelle grandi città si chiama ecologia, nelle isole è istinto, natura, comportamento normale. Dunque la fuga è soltanto l’apparenza di una cosa del tutto diversa: un punto d’arrivo, una conquista dello spirito:

All’improvviso appare
bussando in uno sguardo
una carezza
una parola...

Furtivo giunge
cercando come un fiume il mare
un letto dove consumarsi
anche sognando.

Nella poetica dello spazio e del silenzio si scopre il significato di quanto c’è di complesso e di assurdo nella civiltà del secolo, ugualmente meraviglioso e tragico, scientifico e barbaro, colto e sconvolto. Quale è il mistero di cui parla Pintore con tanta insistenza? Perché lui evoca di poesia in poesia una gamma particolare di sentimenti? Quale è il motivo per cui ogni momento poetico sembra ricordare il precedente e anticipare il prossimo? Come sì spiega l’intimo rapporto, tematico?formale, tra tutte le poesie della raccolta? Alla base di questa strategia letteraria si può intravedere la mano di un costruttore delle cose antiche e elementari alla luce di una visione antica. Si tratta di una ricreazione del mondo, o almeno della propria coscienza del mondo, secondo una visione che supera i condizionamenti di luogo e di tempo.
Non basta lo storicismo a spiegare tale comportamento, perché il tempo stesso è sotto accusa. Forse è la terra, l’isola nella sua essenziale immutabilità a suggerire e a imporre questo modo di sentire le cose. Pintore consapevolmente perde il senso del flusso continuo e riscopre la vita come mistero, l’antitesi della scienza, l’opposto della razionalità. Ciò che a prima vista è sembrato un paradosso altro non è che la superficie del metafisico, inteso, se si vuole, anche in termini laici, anche se sotto tale profilo ogni laicismo è necessariamente religioso:

L’invisibile non vedono
i nostri occhi votati
alla luce del mistero.

Avvicinando il mondo
si dispiega il gioco e la danza
di terra e cielo.

L’esperienza risplende nell’anima.
Ad essa inclina lo sguardo
chi pensa il più profondo.

Il modello immaginativo conduttore è quello del viaggio. È impossibile per un poeta mediterraneo dimenticare che il padre, Ulisse, fosse un navigatore, un instancabile viaggiatore in cerca di se stesso. Dall’Odissea all’Eneide, dalla Divina Commedia all’Ulisse di Joyce, tutti i poeti si sono riconosciuti nella figura dell’uomo come turista del cosmo, in ultima analisi dell’uomo in cerca del senso del suo essere. Il mare e la terra si traducono in materia di costruzione per la rappresentazione scenica di una esperienza interiore. Pintore si inserisce subito in questa tradizione e si adatta senza difficoltà alle condizioni moderne del viaggio, cioè ad un viaggio che nel mare e nella terra vede soltanto spunti metaforici. La poesia paesaggistica del Novecento non ha niente a che fare con l’ecologia, anche se è apparentemente ecologica; così è stata sempre la poesia fin da Orazio e tanti altri. La situazione del secolo è ben più complessa - è il secolo messo a confronto con se stesso. La proposta poetica è il ritorno all’essenziale, al riconoscimento del mistero nascosto dentro le cose.
Il Mediterraneo come terra e mare e spazi e silenzio, dunque, continua ad essere lo scenario del viaggiatore. Fernand Braudel ha detto: “Cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco in Jugoslavia. Significa sprofondare nell’abisso dei secoli, fino alle costruzioni megalitiche di Malta o alle piramidi d’Egitto”.
Rimanere fedeli al Mediterraneo, dunque, significa rimanere fedeli alla necessità di scoprire e di conoscere, di andare oltre il limite del tempo e dello spazio. Poesia concepita e creata secondo questa necessità è poesia di fedeltà all’essenziale.
Anche per tale motivo la lirica di Salvatore Pintore è autenticamente e modernamente mediterranea. Si costruisce sulla identificazione dell’uomo come viaggiatore. Da un lato c’è lo spazio, fisico in sé ma metaforico in sostanza: cielo, nubi, abissi, onde, azzurro, stella, immenso, sentieri, mare, stelle, terra, fiume, vento, via, orizzonte, confine, riva. Dall’altro lato c’è il movimento continuo: salpare, vele, remare, correre, visite, giunge, cercando, ritornano, arriva, guidi, muove, danzando, aprirsi, scorrono. C’è anche il viaggiatore, descritto in termini ben precisi. sguardo, solitario, passo, silenzi, cuore. Sarebbe opportuno fare un completo spoglio lessicale di Erano i giorni per mettere in evidenza questo suo carattere unitario secondo tre punti di riferimento: l’ambiente del viaggio, l’esperienza del viaggio, il viaggiatore.
Due brani particolare sintetizzano sia il tema sia i mezzi di costruzione poetica. In essi Pintore mette in un armonioso insieme tutti gli elementi costitutivi della sua visione fisico?spirituale. E' superato lo spazio tra il mondo esterno e il mondo interiore, è eliminata la distinzione tra viaggio reale e viaggio metaforico. L’isola si è trasformata in un simbolo della coscienza. Non c’è più l’uomo che vive nell’isola, ma solo l’isola che abita dentro di lui. Il viaggiatore mediterraneo non si definisce più in termini culturali e geografici:
Palpitanti desideri scorrono
inseguono corolle d’amore
verso il cuore del mondo.
(Aiuto!)

Ma aprirsi
al destino che incombe
come un miracolo
per dialogare con la luce
che abita il tuo cuore
socchiuso all’incontro con l’Altro.

(Un bianco desiderio)

Dalla consapevolezza del dualismo tra l’io e l’altro nasce il desiderio di andare oltre i confini già conosciuti, appunto verso l’ignoto, il mistero di cui Pintore parla insistentemente con un miscuglio di fede e di paura. Alla luce di queste considerazioni, di natura tematico-formale, sul viaggio di Pintore può iniziare un altro discorso, di natura psicologica, su quello che Neria De Giovanni sinteticamente chiama “viaggio nel labirinto della vita, alla scoperta di un vero rapporto-relazione con gli altri”.